XXXIII Domenica A

Mt 25, 14ss

 

Come quella delle dieci vergini, anche la parabola dei talenti è un’allegoria della prolungata attesa del ritorno del Signore nella sua gloria: il padrone che, prima di partire, consegna i propri beni ai servi, perché non rimangano infruttuosi nel periodo della sua assenza, rappresenta Gesù; i servi, che egli responsabilizza perché facciano rendere al meglio i suoi beni, rappresentano i cristiani; i talenti consegnati ai tre servi rappresentano i doni affidati da Dio ai cristiani per lo sviluppo del suo Regno sulla terra.

 Dopo il breve racconto, si svolgono i dialoghi tra il padrone e ciascuno dei servi.

I primi due servi sono elogiati e ricompensati allo stesso modo, pur avendo ricevuto e corrisposto in diverse quantità di talenti: Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Ciò che importa è la loro relazione col padrone.

Inoltre ciò che essi hanno ricevuto e raddoppiato è considerato poca cosa rispetto a quello che il Signore dona loro: una comunione di vita, che va oltre ogni umana relazione tra padrone e servi.

 Il terzo servo viene condannato, non perché abbia fatto qualcosa di male, ma perché non ha fatto nulla: non ha corrisposto alla fiducia che il suo padrone gli aveva accordata.

Egli ammette di aver agito per paura della severità del suo padrone e ha preferito custodire in sicurezza l’unico talento, piuttosto che rischiare di perderlo.

 Nella replica, il padrone gli risponde con le sue stesse parole, per giustificare un comportamento opposto a quello da lui assunto: Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.

La paura del giudizio ha paralizzato la sua iniziativa ed ora si ritrova povero, privato dell’unico talento che pensava di aver messo al sicuro.

 Il dialogo del terzo servo evoca quello degli operai della vigna, che non comprendono il comportamento del padrone e si lamentano del trattamento riservato a loro.

Ma Dio non è un datore di lavoro e il nostro rapporto con Lui non deve essere un rapporto contrattuale.

 Vigilare nell’attesa del ritorno del Signore vuol dire impegnare al meglio i doni di Dio, con la fiducia e la creatività dell’amore.

Quello che rimane fino al ritorno del Signore è il tempo in cui ciascuno di noi può e deve assumersi le proprie responsabilità nei confronti del Regno: possiamo lasciarlo improduttivo oppure impegnarci a farlo crescere in noi e in mezzo a noi.

Write a comment:

*

Your email address will not be published.

*

© 2018-2024 Parrochia Maria SS. Assunta - Vernole
Seguici su Facebook: