Piano pastorale parrocchiale

La parrocchia di Vernole accoglie con gioia e gratitudine la prima lettera pastorale del vescovo Michele e il suo invito a ripartire dall’ascolto, come principio di quella conversione pastorale missionariaauspicata da Papa Francesco per la chiesa dei nostri tempi.

I seguenti brani della lettera pastorale Ascolta, popolo mio, di S. E. Mons. Michele Seccia, saranno oggetto di attento studio in sede di assemblee parrocchiali, al fine di pervenire ad un vero Piano pastorale parrocchiale per il prossimo triennio.

Parrocchia

<< Qualche mese fa i Vescovi della Polonia hanno riflettuto  sull’importanza  che le  parrocchie  e  le diocesi

siano luoghi d’ascolto per i giovani. Quanto auspicato per i giovani vale più in generale per tutti: ogni parrocchia compie bene la sua missione se è – più che un luogo – una vera e pro- pria palestra d’ascolto, nella quale esercitarsi frequentemente nell’arte di ascoltare fino a raggiungere buoni risultati e cresce- re nella comunione. Le comunità parrocchiali devono essere vere e proprie palestre di ascolto, nelle quali ogni membro si senta ascoltato e abbia il diritto di esprimere la propria opinione: tutto coopera alla crescita e all’edificazione del regno di Dio! In ogni parrocchia si deve respirare un clima di accoglienza dove poter professare la fede nella comunione fra- terna, nella carità e nello spezzare il pane. In questo senso è bene invertire la rotta e promuovere «il superamento di una concezione organizzativa della parrocchia che la veda come struttura periferica di una istituzione diocesana: in realtà la parrocchia è una forma originaria di comunità cristiana nella misura in cui è l’espressione elementare della comunione di fede dei credenti»106. Cammina bene quella comunità che si sforza di leggere i segni dei tempi, individuando le priorità sulle quali agire nel proprio territorio, che sa ascoltare gli ultimi e i poveri, che fonda la propria essenza sull’ascolto della Parola, la quale innerva le relazioni comunitarie. Preferisco una parrocchia con poche attività, ma una grande capacità di ascolto (ricordiamoci che dove c’è ascolto c’è amore vero!). Promuovere una pastorale dell’ascolto, che presta l’orecchio alla voce di Dio e a quella dei fratelli attraverso i quali parla, è  un buon inizio dal quale avviare seri processi di conversione pastorale.

Nella Nota Pastorale sulla Parrocchia della CEI del 2004 si legge che «il futuro della Chiesa in Italia, e

non solo, ha bisogno della parrocchia. È una certezza basata sulla convinzione che la parrocchia è un bene prezioso per   la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo, per una Chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare. Essa è l’immagine concreta del desiderio di Dio di prendere dimora tra gli uomini. Un desiderio che si è fatto realtà: il Figlio di Dio ha posto la sua tenda fra noi (cfr. Gv 1,14). (…) Anche nelle trasformazioni odierne la Chiesa ha bisogno della parrocchia, come luogo dov’è possibile comuni- care e vivere il Vangelo dentro le forme della vita quotidiana. Oggi, però, la parrocchia ha bisogno di rinnovarsi profonda- mente, disegnando con cura il suo volto missionario e trovando nuove vie di pastorale integrata, per concentrarsi meglio sulla scelta fondamentale dell’evangelizzazione»1. L’opzione fondamentale dell’evangelizzazione non può prescindere dalla scelta previa dell’ascolto tipica del movimento “in uscita” ribadito da Papa Francesco.

Interroghiamoci: come le nostre parrocchie possono essere in uscita? Certamente c’è bisogno di una presenza più incisiva e radicata sul territorio: quanti vivono abitualmente la vita parrocchiale devono sapere ciò che accade per le strade del quartiere o del paese e quanti non frequentano   gli ambienti ecclesiali devono sapere che anche loro fanno  parte della comunità. Si tratta, in altre parole, di superare quell’indifferenza diffusa che non permette una proficua diffusione del Vangelo. Per queste ragioni si potrebbe intraprendere nelle parrocchie, accanto ai vari gruppi e movimenti già esistenti, l’istituzione di “sentinelle d’ascolto” che, diversamente dal ruolo rivestito dai centri d’ascolto, escano per strada, lavorando per conoscere e cercare chi è al margine e creare legami tra il centro e le periferie. In questo modo ogni comunità esercita la prossimità del Buon Samaritano sia ad intra(tra gli “assidui” delle comunità) e sia ad extra(i cosiddetti “lontani”), diventando punto di riferimento e annunciando il Vangelo non solo con le parole, ma con i fatti.

Magistralmente scrive il Santo Padre nella Evangelii Gaudium: «La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà a essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione».

Catechesi, Liturgia e Carità

Un’attività privilegiata di ascolto e annuncio nella Chiesa è la catechesi. Essa, più che essere indottrina-

mento di nozioni religiose, si presenta come accompagnamento nella crescita umana e spirituale attraverso le varie età e fasi della vita. La catechesi “ascolta” e “insegna l’ascolto” già a partire dall’inizio: è il cosiddetto primo annuncio «che mira a una totalità intensiva e non estensiva. Annuncia la bella noti- zia della Pasqua del Signore Gesù dentro ogni esistenza umana. Di conseguenza vengono riviste le priorità della catechesi e gli atteggiamenti che la animano: l’annuncio dell’amore di Dio precede la richiesta morale; la gioia del dono rende possibile l’impegno della risposta; l’ascolto e la prossimità precedono la parola e la proposta. Questo è il primo annuncio e questo è ciò che le donne e gli uomini di oggi sono disponibili ad ascoltare». Parlando di catechesi, naturalmente, occorre ripensare la proposta perché sia meno “scolastica” è più “creatrice di comunità”. «L’incontro catechistico è un annuncio della Parola ed è centrato su di essa, ma ha sempre bisogno di un’adeguata ambientazione e di una motivazione attraente, dell’uso di simboli eloquenti, dell’inserimento in un ampio processo di crescita e dell’integrazione di tutte le dimensioni della persona in un cammino comunitario di ascolto e di risposta». Oggi, tuttavia, l’ambito della catechesi si estende anche oltre i confini del semplice incontro: ogni evento che riguarda la vita della gente diventa occasione di grazia attraverso la quale far passare il messaggio cristiano. Si parla così di secondo annuncio, che «può essere definito come il “farsi carne” del primo annuncio nei passaggi di vita fondamentali delle persone, degli adulti in particolare. Lo possiamo allora chiamare il secondo “primo annuncio”. La maggioranza dei cattolici ha ricevuto un “primo annuncio”, ha avuto un con- tatto con la fede cristiana ricevendola in qualche modo come eredità. Il “secondo annuncio” è il risuonare del primo annuncio come parola di benedizione dentro le traversate della vita umana. È il suo diventare “vero”, il suo prendere forma e carne negli snodi fondamentali della vita: è “secondo” perché appare di nuovo come una grazia che si offre, e quindi di nuovo come appello alla libertà perché si disponga». Riscoprire una catechesi intesa come ascolto integrale della vita umana e annuncio della Parola conformemente allo stato di vita di ciascuno è quanto mai opportuno, se non necessario.

«L’ascolto dell’uomo porta a conoscere l’ascolto di Dio come dimensione in cui egli stesso è immerso,

che lo precede e fonda. Dice Paolo: «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). L’ascolto è l’atteggiamento contemplativo, anti-idolatrico per eccellenza. Grazie a esso il cristiano cerca di vivere nella coscienza della presenza di Dio, dell’Altro che fonda il mistero irriducibile di ogni alterità. Il cristiano vive di ascolto». Tutto ciò si realizza pienamente nella liturgia, evento che riattualizza nell’oggi l’unico ed eterno mistero di Cristo. In essa Egli stesso si comunica attraverso la sua Parola e si dona nei sacramenti. Nella Chiesa, pertanto, la liturgia è il momento più alto in cui fare esperienza diretta dell’incontro con il Signore, fonte e culmine della vita cristiana. Nel contesto celebrativo l’ascolto è rivolto direttamente a Dio: la sua Parola è la sola capace di suscitare nel cuore le risposte ai bisogni più profondi, talvolta inespressi, talvolta affidati espressamente nella preghiera. L’ascolto della Paro- la all’interno della Celebrazione Eucaristica ha un carattere unico e specifico: «la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma il dia- logo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza». Attraverso le tante voci umane che proclamano la Parola dobbiamo ascoltare l’unica voce di Dio che si rivolge direttamente al nostro cuore. È un ascolto che presuppone e richiede la fede, e solo in essa si compie il miracolo, cioè la conversione. Essere capaci di prestare ascolto fiducioso a Dio che parla nel mistero liturgico è presupposto per poter ascoltare bene in ogni altro contesto della vita.

«L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di

fronte all’altrui dolore». L’ascolto di Dio nella celebrazione liturgica si qualifica maggiormente se trova riscontro nel servizio alto della carità. Con questo termine non intendo qui la semplice elemosina: il modo di fare carità della Chiesa è diverso! C’è, senza dubbio, l’importanza di assolvere a bisogni concreti di primaria importanza: dare un pasto caldo, un posto per dormire, assistenza di prima necessità. Ho gioito nel vedere l’attenzione della nostra Chiesa per i poveri, impegnata in prima linea su tutti i fronti per venire incontro a quel- le che sono le esigenze degli ultimi. Il “pacco” tuttavia non basta. Se riducessimo la carità a mera distribuzione di viveri e generi alimentari saremmo una semplice associazione di volontariato ispirata a ideali religiosi. La prima e più grande forma di carità, invece, è l’ascolto: prima ancora di risollevare dalla miseria materiale, siamo chiamati a riscattare la dignità di quanti soffrono nell’indigenza. Dare gli aiuti necessari è cosa buona, ma farsi prossimi a quelle che sono le “periferie esistenziali” è cosa eccellente! Facciamo attenzione: il Papa parla di “periferie esistenziali”, dove “esistenziali” riguarda l’identità stessa del povero che va considerato come persona, e non solo come soggetto portatore di bisogni. Uno sguardo, un sorriso valgono più di tante monete gettate per lavarci la coscienza davanti a un bisognoso, il cui tintinnio risuoni come monito per ricordarci che nel povero c’è lo stesso Gesù, che da ricco che era si è fatto povero per noi (cfr. 2Cor 8,9). «Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro “la sua prima misericordia”. Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiama- ti ad avere “gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una “forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione del- la Chiesa”». Questo serve a incoraggiarci nelle tante opere buone compiute finora, ma anche a spronarci per umanizzare la carità alla luce del Vangelo. «Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettiva- mente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede». Si tratta cioè, di amare il povero innanzitutto ascoltandolo: «il povero, quando è amato, “è considerato di grande valore”, e questo differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione».

Giovani, Vocazioni e Famiglia

I giovanioccupano un posto di primaria attenzione e cura all’interno della Chiesa. Essi sono a tutti gli effetti

ti i protagonisti dell’attenzione ecclesiale sia a livello diocesano (Sinodo Diocesano dei Giovani celebrato nel 2016-17), sia a livello universale (Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2018). I giovani richiedono ascolto, e come Chiesa glielo dobbiamo dare!

«I giovani sono chiamati a compiere continuamente scelte che orientano la loro esistenza; esprimono il desiderio di essere ascoltati, riconosciuti, accompagnati. Molti sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale. In vari contesti si registra una scarsa attenzione al loro grido, in particolare a quello dei più poveri e sfruttati, e anche la mancanza di adulti disponibili e capaci di ascoltare. Non mancano nella Chiesa iniziative ed esperienze consolidate attraverso le quali i giovani possono sperimentare accoglienza, ascolto e far sentire la propria voce. Il Sinodo riconosce, però, che non sempre la comunità ecclesiale sa rendere evidente l’atteggiamento che il Risorto ha avuto verso i discepoli di Emmaus, quando, prima di illuminarli con la Parola, ha chiesto loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?» (Lc 24,17).

Le domande di Cristo portano fuori ciò che è dentro il cuore dei discepoli e aprono al dialogo.

Prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne oggi la provocazione.

L’ascolto rende possibile uno scambio di doni, in un contesto di empatia. Esso consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite. Allo stesso tempo pone le condizioni per un annuncio del Vangelo che raggiunga veramente il cuore, in modo incisivo e fecondo. L’ascolto costituisce un momento qualificante del ministero dei pastori, e in primo luogo dei vescovi, che però spesso si trovano oberati da molti impegni e faticano a trovare un tempo adeguato a questo indispensabile servizio. Molti hanno rilevato la carenza di perso- ne esperte e dedicate all’accompagnamento. Credere al valore teologico e pastorale dell’ascolto implica un ripensamento per rinnovare le forme con cui ordinariamente il ministero presbiterale si esprime e una verifica delle sue priorità. Inoltre,

il Sinodo riconosce la necessità di preparare consacrati e laici, uomini e donne, che siano qualificati per l’accompagna- mento dei giovani. Il carisma dell’ascolto che lo Spirito Santo fa sorgere nelle comunità potrebbe anche ricevere una forma di riconoscimento istituzionale per il servizio ecclesiale». Mi piace l’espressione “carisma dell’ascolto”, perché è portatrice di un duplice significato: dice che è innanzitutto dono di Dio, ma necessita del contributo umano per essere affinato. Assieme al bisogno d’ascolto, che i giovani manifestano in vari modi, è necessario avviare quei processi necessari e indispensabili per permettere loro di entrare in questa dinamica dialogico-relazionale, che facilita l’autocomprensione di sé stessi e della vita della Chiesa nella quale sono inseriti. L’aumento degli spazi d’ascolto delle giovani generazioni costituisce un solido investimento per il futuro della Chiesa.

All’interno del mondo giovanile mi è particolarmente a cuore il tema delle vocazioni, dove l’ascolto è il presupposto naturale del discernimento vocazionale. «Il termine “discernimento” è usato in una pluralità di accezioni, pur collegate tra di loro. In un senso più generale, discernimento indica il processo in  cui si  prendono decisioni importanti; in un secondo senso, più proprio della tradizione cristiana e su cui ci soffermeremo particolarmente, corrisponde alla dinamica spirituale attraverso cui una persona, un gruppo o una comunità cercano di riconoscere e di accogliere la volontà di Dio nel concreto della loro situazione: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21). In quanto attenzione a riconoscere la voce dello Spirito e ad accogliere la sua chiamata, il discernimento è una dimensione essenziale dello stile di vita di Gesù, un atteggiamento di fondo ben più che un  atto  puntuale». Il  discernimento  è un’esperienza che

«continua nella pratica della Chiesa, che vede i giovani inseriti in gruppi, movimenti e associazioni di vario genere, in cui sperimentano l’ambiente caldo e accogliente e l’intensità di rapporti che desiderano. L’inserimento in realtà di questo tipo è di particolare importanza una volta completato il percorso dell’iniziazione cristiana, perché offre ai giovani il terreno per proseguire la maturazione della propria vocazione cristiana. In questi ambienti va incoraggiata la presenza di pastori, così da garantire un accompagnamento adeguato. Nei gruppi, educatori e animatori rappresentano un punto di riferimento in termini di accompagnamento, mentre i rapporti di amicizia che si sviluppano al loro interno costituiscono il terreno per un accompagnamento tra pari». La pastorale giovanile è ripensata – così – in chiave vocazionale: «in tal modo emergono le due caratteristiche indispensabili di una pastorale destinata alle giovani generazioni: è “giovanile”, perché i suoi destinatari si trovano in quella singolare e irripetibile età della vita che è la giovinezza; è “vocazionale”, perché la giovinezza è la stagione privilegiata delle scelte di vita e della risposta alla chiamata di Dio. La “vocazionalità” della pastorale giovanile non va intesa in modo esclusivo, ma intensivo. Dio chiama a tutte le età della vita – dal grembo materno fino alla vecchiaia

-, ma la giovinezza è il momento privilegiato dell’ascolto, del- la disponibilità e dell’accoglienza della volontà di Dio». Il discernimento vocazionale, tuttavia, non è proselitismo! Non significa puntare solo sulla risposta alla chiamata nel sacerdozio o nella vita consacrata. Il discernimento è atto a valorizza- re e promuovere ogni vocazione umana come realizzazione del proprio progetto di vita in conformità alla volontà divina e, quindi, al raggiungimento della felicità.

Nell’ambito pastorale anche alla famigliaè rivolta un’attenzione particolare.  Oggi,  una delle  principali

pali cause della crisi è la mancanza di ascolto. «La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e  i legami  sociali.  Nel caso  della  famiglia, la  fragilità dei

legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli». Divisioni, incomprensioni, litigi sono generati dalla sordità nei confronti della parola altrui, che resta inascoltata a volte per abitudine, a volte per ripicca, altre per indifferenza. Quando anche la tavola, luogo di scambio e di comunicazione intima per eccellenza, diventa muta, vuol dire che si sta andando nella direzione sbagliata.

In questo contesto, la famiglia come “comunità” cresce e si edifica solo nell’ascolto reciproco. A volte basta davvero poco, ma è bene che in ogni parrocchia si sostengano le famiglie accompagnandole e valorizzandole nella loro stessa identità. Ci sono tre parole che il Santo Padre prescrive come medicina ai malanni familiari: «“permesso?”, “grazie”, “scusa”: queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vi- vere in pace. Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare. (…) Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici, e forse in un primo mo- mento ci fanno sorridere. Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero? La nostra educazione, forse,   le trascura troppo. Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile». Alle parole del Papa non ci sarebbe nulla da aggiungere: la loro impressionante semplicità è quanto mai vera, eppure paradossalmente non è spesso “di casa nelle nostre case”! Ritorniamo su queste parole, meditiamole, ci faranno bene. Ripensiamo anche alle parole di Paolo: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). Ricordiamo sempre che non esistono “famiglie perfette”, ma “perfettibili”.

Tutti possono crescere, migliorare, e se proprio bisogna avere un’attenzione speciale, la si abbia per le famiglie più in difficoltà o per quelle situazioni critiche e di sofferenza: che nessuno si senta escluso o messo al margine dalle comunità, in quanto tutti hanno diritto di ascoltare e di essere ascoltati! In questo contesto si diffidi dalle cosiddette famiglie del “mulino bianco” dietro le quali si nascondono terribili sepolcri imbiancati. Meglio una famiglia accidentata ma più vera perché vulnerabile, che una famiglia perfetta, ma falsa e incoerente. Le Parrocchie, la Diocesi – luoghi di aggregazione tra famiglie – si mettano in ascolto di queste famiglie, per trovare le modalità più adatte per essere di aiuto concreto ai loro bisogni>>.

(Dalla Lettera pastorale Ascolta, popolo mio, di S. E. Mons. Michele Seccia)