Lettera del Card. Salvatore De Giorgi ai Vernolesi
in occasione dell’’80 del suo Battesimo
agosto 2010
Carissimi fratelli e sorelle della Parrocchia di Vernole, amatissimi Concittadini.
Il 6 settembre ricorrerà l’80° Anniversario della mia nascita e il 18 dello stesso mese quello del mio Battesimo.
Celebrerò la Messa di ringraziamento al Signore nella grotta di Lourdes, attraverso le mani dell’Immacolata, insieme ai fedeli di Santa Rosa per il dono della vita naturale. Ma la Messa per il dono ancora più grande della vita soprannaturale avrò la gioia di celebrarla con voi, carissimi concittadini, nella nostra Chiesa parrocchiale, dove sono stato battezzato, cresimato e ordinato sacerdote.
La celebrerò insieme con don Gino De Filippo, che a novembre di quest’anno raggiungerà anche lui il traguardo degli ottanta anni, e sarò lieto della partecipazione di tutti, ma soprattutto dei miei coetanei e delle mie coetanee, mentre il ricordo e il suffragio sarà per tutti i defunti vernolesi, ma soprattutto per i miei coetanei e coetanee che mi hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace.
Come il salmista, mi viene spontaneo dire: “Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: rifletto e il mio spirito si va interrogando. Ricordo le gesta del Signore, ricordo le tue meraviglie di un tempo.”. (Sal 76, 6-7.12-13). Sia benedetto il Signore per sempre.
E’ quanto intendo fare in questa lettera dal tono squisitamente familiare: sia per esprimere la mia gratitudine all’amatissima Vernole per quello che mi ha dato soprattutto negli anni della mia giovinezza, sia per rivivere insieme con voi eventi che gli anziani come me ha vissuto in un tempo sempre più lontano, sia per testimoniare alle nuove generazioni quanto influisca nel corso della vita il legame ininterrotto con le proprie radici.
La gioia di essere vernolese
Forte e costante è soprattutto il ricordo delle tante grazie che il Signore mi ha concesso prima e dopo l’ordinazione sacerdotale, per cui non posso non ripetere col salmista: “Misericordias Domini in aeternum cantabo”, “Canterò in eterno l’amore del Signore” (Sal 88,2).
Canterò l’amore del Signore anzitutto perché mi ha dato il dono della vita, il 6 settembre 1930 e mi ha rigenerato nella sua vita divina col Battesimo amministrato dodici giorni dopo nella nostra Chiesa parrocchiale dall’indimenticabile Don Nicola De Giorgi, viceparroco, mentre era arciprete Mons. Salvatore Pascali, già parroco di S. M. della Luce in Lecce, morto nel 1936, al quale nel 1937 successe Don Michele De Carlo, Vernolese anche lui, ma di Acquarica.
L’amore del Signore si è manifestato nel dono dei miei genitori, Vito Ippazio Carmelo (chiamato soprattutto con questo terzo nome) e De Carlo Anna Teresa, coniugi di profonda fede cristiana, che l’hanno saputo trasmettere ai loro otto figli con la parola e con l’esempio.
Nel clima di fede e di vita cristiana della mia famiglia, inserita pienamente nelle attività pastorali della parrocchia, e soprattutto grazie alla preghiera di mio padre, che ogni mattina si alzava prestissimo per partecipare alla S. Messa e ogni sera recitava con tutta la famiglia il S. Rosario (lui annunciava i misteri e la mamma le invocazioni delle Litanie), si è manifestata in me la chiamata al sacerdozio ministeriale.
La grazia della vocazione
Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio, che in Cristo “ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1,4). Dono dell’amore di Dio è soprattutto la vocazione al sacerdozio. Non è una scelta umana, ma la risposta libera e personale alla gratuita elezione del Signore, secondo la sua affermazione: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16). Garante della vocazione è la Chiesa, attraverso la quale si manifesta la chiamata del Signore.
Un primo timidissimo segno di questa chiamata mi pare di averlo avuto il giorno della Prima Comunione, che mi è rimasto particolarmente impresso nella memoria. Era il 30 maggio 1936.Non avevo ancora sei anni, ma ero stato preparato dalle Suore Stimmatine nella scuola materna: non potrò mai dimenticare la direzione tanto amabile quanto rigorosa della Superiora Suor Verdiana, l’abilità didattica di Sr. Marianna, la capacità organizzativa e canora di Sr. Livia e la premura nella refezione di Sr. Natalina.
In parrocchia la preparazione era curata da un’anziana catechista, la Niceta: ci riuniva a cerchio in Chiesa e ci insegnava le preghiere fondamentali e le principali formule del catechismo di S. Pio X, che bisognava imparare a memoria per essere ammessi alla prima Confessione e alla prima Comunione.
Non potrò mai dimenticare la gioia di quel giorno allietato dal canto: “Oh, che giorno beato il ciel ci ha dato!”. E la gioia di quel giorno imparai a gustare partecipando ogni domenica alla S. Messa, alla Messa seconda, celebrata da un insigne professore di teologia, Mons. Gioacchino Pascali, già docente nel Seminario Regionale Pugliese, quando aveva la sede a Lecce presso il Collegio Argento.
Una figura sacerdotale, quella di Mons. Pascali, che, come anche l’Arciprete Mons. Gioacchino Sansonetti, ha onorato il clero leccese per la vasta cultura e soprattutto per la profonda pietà. Si prendeva cura di noi ragazzi, chiamati i Luigini, e ci conduceva ogni domenica a pomeriggio in un suo podere ai confini del paese per farci ricreare dopo l’istruzione catechistica nella Chiesa di Sant’Anna.
Con l’ingresso nelle Scuole Elementari quel piccolissimo segno vocazionale è andato lentamente crescendo, grazie anche alle prime esperienze ecclesiali fatte nell’Azione Cattolica, prima tra i fanciulli (fiamme bianche, verdi e rosse) guidati dalla esemplare dedizione della indimenticabile “Donn’Anna” e poi tra gli aspiranti minori dell’Azione Cattolica, intestata a Luciano De Carlo, che aveva la sede presso l’abitazione delle Signorine Anna e Michelina Pellè, l’attuale canonica parrocchiale.
Ci riunivamo ogni sera dopo la recita del Rosario e l’Adorazione Eucaristica, detta “serotina” perché la Messa allora si celebrava solo di mattina, e ci dedicavamo a piccoli giochi da tavolino, come la dama, e soprattutto a compilare il “quaderno attivo” della catechesi, curata dal Delegato aspiranti sui catechismi del Centro Nazionale Attività Catechistiche con il sussidio delle guide pubblicate dallo stesso Centro. Si svolgeva allora la Gara di cultura religiosa e l’Azione Cattolica vernolese riusciva ad affermarsi ai primi posti.
Ma fu dopo la Cresima, conferitami il 25 luglio 1938 dal Vescovo Mons. Alberto Costa, che crebbe in me il desiderio di entrare in Seminario, aiutato anche dalla sensibilità cristiana della maestra della scuola elementare, la Sig.na Antonietta Giannotti, felice per tutta la vita che due suoi alunni, – il sottoscritto e Don Gino fossero stati chiamati al sacerdozio.
Non poco influì la presenza di alcuni seminaristi, anche se non sono diventati sacerdoti. E in casa, come tra compagni, l’interesse preferito era imitare i sacerdoti nella celebrazione della Messa.
L’attesa del Seminario
Il Seminario è il luogo che prepara i futuri sacerdoti. Vi sono i Seminari Minori, che aiutano i ragazzi a custodire e far sviluppare i germi della vocazione sacerdotale: ma oggi, purtroppo, hanno pochi adolescenti. Vi sono i Seminari Maggiori, che accompagnano i giovani nel definitivo discernimento vocazionale e nella formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale, perché siano preparati adeguatamente al sacerdozio: per tutte le diocesi della Puglia ce n’era allora e ce n’è tuttora uno solo, a Molfetta.
Non era facile per me entrare in Seminario: la mia famiglia, così numerosa, non poteva sostenere il pagamento della retta e non c’erano allora borse di studio o altri aiuti a livello diocesano e parrocchiale. Per questo da sacerdote e da vescovo, nelle diverse diocesi, ho cercato di costituire delle borse di studio per seminaristi, ed è quanto intendo fare per il mio ottantesimo con una Fondazione finalizzata all’incremento delle vocazioni sacerdotali, soprattutto nella nostra Vernole: chi ha conosciuto le difficoltà comprende quelle degli altri e desidera lenirle.
E le difficoltà allora si erano aggravate a causa della guerra, la spaventosa seconda guerra mondiale, scoppiata il 10 giugno 1940: non potrò dimenticare la folla inconsapevolmente osannante a quel tragico evento anche nella nostra piazza, come in altre piazze d’Italia, come non potrò dimenticare il dolore che investiva tutta Vernole all’annunzio delle prime vittime della guerra, i cui bollettini ascoltavamo alla radio di don Nicola, una delle pochissime, da contare sulle dita di una mano. .
Nonostante queste difficoltà mio padre, già pensionato dello Stato, si fece carico di non lievi sacrifici per non deludere la mia insistente aspirazione vocazionale.
Ma c’era un ulteriore ostacolo da superare. Per accedere alla scuola media, che allora non c’era a Vernole, e quindi per entrare in Seminario, bisognava sostenere a Lecce gli esami di ammissione oltre quelli a Vernole di quinta elementare.
Bisognava prepararsi a questi esami, ma non era possibile farlo con un professore o una professoressa, che giustamente dovevano essere ricompensati.
Mio padre mi comprò un grosso libro dal titolo “Preparazione agli esami di ammissione alla scuola media”, che leggevo avidamente ogni mattina, dopo aver servito la Messa delle sei: comprendevo che dall’esito positivo di quegli esami sarebbe dipeso sia l’ingresso in Seminario, che era il mio sogno, sia la prosecuzione agli studi, che molto mi attraeva.
Si può immaginare la mia trepidazione nel varcare la soglia della scuola media presso il Liceo-Ginnasio “L. Palmieri”. Ma fu per me come un buon presagio la presenza tra gli esaminatori di un anziano sacerdote: tanto d’altronde era anche il mio desiderio di diventare sacerdote.
Con l’aiuto del Signore e della Madonna alla quale particolarmente mi raccomandavo fui promosso: ero felice.
Il Seminario Diocesano
Ma più grande fu la mia felicità quando, il 12 ottobre 1941, potei entrare in Seminario e alla fine dello stesso mese, nella festa di Cristo Re, indossare l’abito talare.
Non potrò mai dimenticare gli anni del Seminario Minore. Erano gli anni della guerra (1941-1946), anni di sacrifici d’ogni genere: mancavano molte cose necessarie, il cibo era razionato, perfino i libri e i quaderni scarseggiavano, in molte notti urlavano le sirene annunciatrici di possibili incursioni aeree, che ci svegliavano di soprassalto per metterci nei corridoi più sicuri del Seminario o in Cappella a vegliare per ore intere e pregare. Eppure eravamo sereni e non mancava la gioia, l’impegno nella preghiera e nello studio.
Si veniva a casa brevemente per le vacanze di Natale e di Pasqua e più a lungo (oltre due mesi) per quelle estive. Queste mi davano la possibilità, insieme con don Gino, non solo di affezionarmi sempre di più alla nostra Vernole, che ci sembrava sempre più bella, pur con i limiti delle sue povertà, rese più drammatiche dalla guerra durante la quale manifestò anche la ricchezza della sua generosità nell’accoglienza dei soldati posti a difesa delle nostre coste e dei profughi provenienti dalle regioni devastate dai bombardamenti.
Non potrò mai dimenticare la Messa di Mezzanotte del Natale 1943 e del 1944: a motivo del coprifuoco non si poteva celebrare nelle Chiese, ma non ci si impedì di celebrarla con la luce delle candele in quella delle Suore. Quelle notti mi sono venute spontanee alla mente in ogni Natale, dovunque l’ho celebrato, e mai il canto natalizio dell’Adeste fideles mi ha commosso come in quelle notti.
A Vernole non vi sono stati bombardamenti, ma le incursioni aeree su Brindisi e Galatina non ci davano tranquillità e sicurezza: cresceva la fiducia in Sant’Anna, e l’impossibilità di festeggiarla esternamente rendeva più solleciti alla preghiera per invocare il dono della pace, che né la caduta del fascismo, proprio durante la processione del 25 luglio 1943, né l’armistizio del settembre successivo assicurarono, perché la guerra cessò solo il 25 aprile del 1945.
Facevo allora la quarta ginnasiale e il pensiero volava già al Seminario Regionale dove entrai nel settembre del 1946, dopo un viaggio da Lecce a Molfetta in treno, durato oltre quindici ore.
Il Seminario Regionale
Nel Seminario Regionale ho compiuto gli studi filosofici e teologici, sotto la splendida guida del Rettore Mons. Corrado Ursi, poi Cardinale e Arcivescovo di Napoli.
Sono stati gli anni della definitiva decisione vocazionale e di un’intensa formazione al presbiterato. Il ricordo del Seminario, come particolare comunità educante, come continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù, come famiglia animata dall’amicizia, dalla fraternità e dalla gioia, è tuttora vivo, carico a volte di nostalgia e sempre di gratitudine per i Superiori e i Professori che mi hanno formato prima con l’esempio e poi con la dottrina: due di loro, Don Ambrogio Grittani, Professore di Latino, e Mons. Nicola Riezzo, Professore di Teologia dogmatica e poi Arcivescovo di Otranto, sono morti in concetto di santità ed è in corso a Roma il processo di canonizzazione. .
Nell’agosto del 1950 morì l’anziano Vescovo Mons. Alberto Costa e gli successe il giovane Vescovo di Nardò, Mons. Francesco Minerva.
Alla sua Ordinazione episcopale, in Canosa di Puglia, avevo partecipato due anni prima con la schola cantorum del Seminario. Non potevo allora immaginare che egli sarebbe stato il mio Vescovo e che dell’anziano Arcivescovo Mons. Ferdinando Bernardi, ordinante principale, sarei stato trentanove anni dopo il secondo successore sulla Cattedra di S. Cataldo nell’Arcidiocesi di Taranto.
Mons. Minerva è stato la mia vera guida spirituale negli anni di teologia e nei venti anni di vita presbiterale.
Era ancora Vescovo di Nardò, quando il 17 dicembre 1949 mi ha conferito la prima Tonsura, il rito col quale allora si diventava chierici e si era ammessi fra i candidati agli Ordini sacri. Indimenticabile l’emozione provata al taglio dei capelli mentre il coro cantava: “Sei tu, o Signore, la mia eredità!”.
Negli anni successivi seguirono gli Ordini minori, come si chiamavano allora gli attuali ministeri: l’Ostiariato (ora abolito) e il Lettorato (9 luglio 1950), l’Esorcistato (ora abolito) e l’Accolitato (29 luglio 1951).
E ogni volta che dal Seminario tornavo a Vernole per le vacanze estive (le sole consentite) ero lieto, insieme con don Gino, di aiutare l’Arciprete e Don Nicola nelle celebrazioni liturgiche e soprattutto per la festa di Sant’Anna: introducemmo il canto gregoriano e l’animazione delle Messe festive, pregustando in certo qual modo le gioie del futuro ministero sacerdotale che era in cima ai nostri sogni.
Sacerdote per sempre
Il 13 luglio 1952 ricevetti il primo degli Ordini maggiori, ora abolito, il Suddiaconato. Ricordo la gioia nel fare il passo decisivo verso il sacerdozio accogliendo il grande dono del celibato ecclesiastico, col quale mi consacravo tutto, anima e corpo, per sempre al Signore, per dedicarmi più liberamente – in Lui e per Lui – al servizio di Dio e degli uomini.
Il 5 ottobre 1952 fui ordinato Diacono. Ricordo che la notte prima di ricevere il Diaconato non riuscii a dormire al pensiero che il giorno dopo avrei potuto prendere nelle mie mani il Corpo eucaristico del Signore. Da quel giorno la mia preoccupazione preminente fu la preparazione alla ordinazione presbiterale.
Mons. Minerva – facendo un’eccezione, motivata dal fatto che solo dopo 26 anni la nostra parrocchia donava alla Chiesa un sacerdote – volle ordinarmi presbitero il 28 giugno 1953 nella nostra Chiesa parrocchiale, gremita come non mai di vernolesi.
Rivivo i diversi momenti dell’Ordinazione, celebrata allora secondo il vecchio rito, come se si fossero ripetuti ogni giorno, in ogni celebrazione eucaristica nel corso di questi cinquantasette anni.
Ero anzitutto preso da stupore per il dono grande e assolutamente immeritato che Gesù, l’unico sommo ed eterno Sacerdote, mi concedeva, rendendomi partecipe del suo sacerdozio, del suo ministero di pastore con il quale incessantemente Egli aduna con la Parola, santifica con i Sacramenti e guida con l’autorità dell’Amore il suo gregge.
Sento ancora la voce di uno dei due canonici che accompagnavano il Vescovo, Don Ugo De Blasi, morto in concetto di santità e del quale è già in corso la fase diocesana del processo di canonizzazione. Chiedeva al Vescovo in nome della Chiesa di ordinarmi sacerdote. Trepidavo alla domanda del Vescovo: “Sai se ne è degno?”. In cuor mio avvertivo la mia indegnità. Mi rincuorò subito l’attestazione di Don Ugo, che era stato anche mio professore: “Per quanto lo permetta l’umana fragilità, so e attesto che egli è degno di compiere gli uffici del nuovo Ordine”.
Mi rendevo conto, tuttavia, che per essere degno di compiere l’ufficio sacerdotale, avrei dovuto tenere sempre presente, per metterla in pratica, la monizione del Vescovo: “Nel momento di essere consacrato all’ufficio di sacerdote, procura di riceverlo degnamente e di adempierlo con lode. Si deve ascendere con grande timore a tanta grandezza e procurare che una dottrina celeste, retti costumi e una continua osservanza della giustizia ne siano l’attestato. Scelto, col consenso dei nostri fratelli, a nostro aiuto, osserva nei costumi l’integrità di una vita casta e santa. Sappi quello che fai e imita ciò che tratti. Sia il tuo insegnamento spirituale medicina al popolo di Dio. Sia il profumo della tua vita la gioia della Chiesa di Cristo, per edificare con la predicazione e con l’esempio la casa, vale a dire la famiglia di Dio”.
Mi si proponeva un vero programma di vita sacerdotale: lo affidavo alla intercessione della Vergine e dei Santi, che venivano invocati mentre ero prostrato a terra in segno di totale umiltà e di completa disponibilità a intraprendere il ministero sacerdotale, non contando sulle mie povere forze ma sulla grazia del Signore, memore che “senza di me non potete fare nulla” (Gv 15.5).
Sento ancora le mani del Vescovo posate sul mio capo e riascolto la sua voce, che nella preghiera di ordinazione chiedeva al Padre di rinnovare in me lo “spirito di santità” e la grazia necessaria al nuovo stato.
Avvertivo nella fede, con timore e tremore ma anche con fiducia e speranza, la trasformazione spirituale che avveniva in me nella configurazione di tutto il mio essere a Gesù capo-servo, pastore e sposo della Chiesa, simbolicamente espressa dall’imposizione della stola e della pianeta, veste sacerdotale con cui è figurata la carità pastorale.
La Chiesa, gremita di fedeli, attenti e commossi, esprimeva eloquentemente nella preghiera l’abbraccio di tutta la comunità parrocchiale, dalla quale il Signore mi aveva preso per consacrarmi e mandarmi a servire tutto il popolo di Dio in assoluta docilità al suo volere, espresso attraverso la voce dei superiori.
Consacrato e mandato a servire il popolo di Dio: è questa la caratteristica del sacerdozio ministeriale, che si chiama così proprio perché è a servizio (questo significa in latino “ministerium”) del sacerdozio regale di tutti i battezzati.
Il giorno dopo, festa dei Santi apostoli Pietro e Paolo, celebrai la prima Santa Messa nella nostra Chiesa parrocchiale, in quel clima di famiglia che deve caratterizzare la vita di ogni comunità cristiana.
Celebrare la prima S. Messa per ogni sacerdote è un’esperienza spirituale indimenticabile, anche se si ripete ogni giorno. Stare in diretto contatto con la santità di Dio è un appello quotidiano alla santità e una grazia sempre nuova per la santificazione sacerdotale nell’esercizio del ministero pastorale.
Rivedo i miei genitori commossi, quando per primi baciarono le mie mani consacrate. Avvertii in quel momento la forza del loro amore e dei sacrifici fatti per assecondare la mia vocazione al sacerdozio.
D’allora mio padre volle darmi la destra, e vinse la mia spontanea ritrosia ad accettare questa scelta dicendomi: “Tu sei mio figlio, ma da oggi mi sei anche padre!”
Familiare fu il convito di festa fatto in casa con l’invito dei soli zii e delle zie, in un tono di semplicità e di sobrietà, quale si addice a un ministro del Signore. Per tutti gli altri, indistintamente, un rinfresco fu offerto in casa con altrettanta semplicità: fu davvero una festa di tutto il paese.
Segretario del Vescovo
Nello spirito di obbedienza, promessa nelle mani del Vescovo il giorno dell’Ordinazione, ogni sacerdote è lieto di mettersi al servizio di Dio e dei fratelli dove il Signore lo invia.
Mons. Minerva, nei primi cinque anni di sacerdozio (1953 – 1958), volle nominarmi suo segretario particolare, segretario dell’ufficio Catechistico diocesano, assistente di un gruppo Scout, dei fanciulli di Azione Cattolica e della Gioventù studentesca. Diversi incarichi, che cercai di svolgere ordinando bene il mio tempo, ma che mi dettero l’opportunità di mettermi al servizio delle parrocchie, delle scuole, della gioventù: un’esperienza preziosa che ha guidato il successivo ministero sacerdotale ed episcopale e, soprattutto, l’attenzione privilegiata per la pastorale giovanile.
Trasferito a Lecce, ho dovuto lasciare definitivamente la “mia” Vernole, dalla quale avevo dovuto allontanarmi sin dagli anni del Seminario, fatta eccezione delle vacanze. Il Vescovo mi dava, tuttavia, la possibilità di venire di tanto in tanto, soprattutto la domenica, per la Messa e per le confessioni, ed io ero felice di dare un po’ del ministero sacerdotale nella parrocchia del mio Battesimo, della Cresima, della Prima Comunione e dell’Ordinazione sacerdotale, come sono felice quando, ora più facilmente, posso tornarvi e rivedere volti di persone care e luoghi mai dimenticati.
Di quegli anni ricordo in particolare sia il Congresso Mariano Diocesano (1954 – 1955) sia soprattutto il Congresso Eucaristico Nazionale (1956), che ebbe un’organizzazione e una partecipazione veramente eccezionali. Fu in quella circostanza che il Vescovo mi incaricò di accompagnare il Cardinale Giuseppe Roncalli, Patriarca di Venezia, poi Sommo Pontefice col nome di Giovanni XXIII e recentemente dichiarato Beato. E l’anno successivo ebbi la gioia di vedere da vicino il grande Papa Pio XII, che accolse benevolmente in visita di ringraziamento il Comitato del Congresso.
Parroco a Santa Rosa
Il 1 settembre 1958 il Vescovo mi nominò parroco di un’antica parrocchia, “S. Maria delle Grazie”, che dal centro della Città era stata trasferita nella zona più periferica chiamata “S. Rosa”.
Era un agglomerato di case popolari, senza chiesa: c’era solo una piccola sala, tanto piccola e insufficiente a contenere tutti i parrocchiani che sia il possesso canonico (12 ottobre 1958), come anche le prime comunioni e le cresime si celebravano all’aperto.
Non c’era la chiesa materiale, ma si edificava la Chiesa viva: la carenza di strutture e la scarsità di mezzi destavano l’inventiva dei parrocchiani, che non lasciavano il parroco solo nell’affrontare problemi di ogni genere.
Mons. Minerva si prodigò moltissimo perché l’Istituto Case Popolari, con le case del popolo, edificasse anche la Casa del Signore. E in realtà, man mano che cresceva il numero delle case, cresceva anche la costruzione della Chiesa, ampia e funzionale, che fu consacrata nella seconda domenica di settembre del 1960 per essere davvero la casa di tutti e, posta al centro del Rione, un richiamo per tutti.
Non c’era canonica, ma io ero felice di stare come i parrocchiani, e con loro, in una casa popolare, l’unica che posseggo e che amo soprattutto perché popolare: non disdice, ma anzi è più confacente alla dignità di un Cardinale, perché più rispondente alla semplicità comandata dal Signore, caratteristica del popolo vernolese, al quale sono orgoglioso di appartenere,
Vera volta di vita presbiterale e pastorale è stato per me il vento pentecostale del Concilio Ecumenico Vaticano II. Avevo iniziato il mio ufficio di parroco, il 12 ottobre 1958, proprio nel giorno in cui si svolgevano i funerali del grande Papa Pio XII, da tutti acclamato come il “Pastor angelicus”, il “Defensor civitatis”.
Si pregò ogni giorno in parrocchia per l’elezione del nuovo Papa e grande fu l’esultanza di tutti, quando il 28 ottobre fu eletto il Card. Angelo Giuseppe Roncalli, Patriarca di Venezia, anche nel ricordo della sua venuta a Lecce durante il Congresso Eucaristico Nazionale. Alla prima sorpresa dell’assunzione, dopo 624 anni, del nome pontificio di “Giovanni”, si aggiunse quella più grande dell’annunzio del Concilio ecumenico fatto nella Basilica di S. Paolo il 25 gennaio 1959. Sembrò l’annunzio di una nuova primavera della Chiesa. La morte di Papa Giovanni il 3 giugno 1963 addolorò tutti, ma non spense la speranza, tenuta accesa e alimentata dal successore il Card. Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, eletto il 21 dello stesso mese, e che assunse il nome di Paolo VI. È stato il grande artefice del Concilio, che contribuì moltissimo anche al rinnovamento delle parrocchie come comunità in comunione e tensione missionaria sul fondamento della catechesi, la liturgia e la carità.
Vescovo di Oria
Nel mese di ottobre tutta la Diocesi di Lecce visse la grazia del venticinquesimo anniversario di Ordinazione episcopale del Vescovo Mons. Francesco Minerva. La festa giubilare fu celebrata il 28 ottobre 1973. E fu in quell’occasione che il Santo Padre Paolo VI – come si legge nella lettera del Card. Sebastiano Baggio, allora Prefetto della Congregazione per i Vescovi, il Dicastero che collabora col Papa nella scelta e nelle nomine dei Vescovi – volle fare un dono alla Diocesi per quel fausto evento, nominando me Vescovo titolare di Tulana e Ausiliare del Vescovo di Oria, Mons. Alberico Semeraro.
Mons. Minerva mi comunicò la nomina, ancora segreta, la sera del 4 novembre, festa di S. Carlo Borromeo. Lascio a voi immaginare i sentimenti di sorpresa, di confusione e di sgomento che inondarono il mio animo. Per tanti motivi, tra i quali anche la mia giovane età (avevo appena 43 anni), mi sentivo inadeguato a un ministero così impegnativo e carico di responsabilità.
Ma Mons. Minerva mi disse che dovevo accettare la volontà del Signore, espressa attraverso il mandato del suo Vicario in terra, nella certezza che Dio nell’affidare un mandato garantisce anche la grazia per assolverlo con serenità.
La nomina fu pubblicata il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria al tempio. E l’Ordinazione episcopale fu celebrata nella Cattedrale di Lecce il 27 dicembre 1973, festa di S. Giovanni Evangelista, presieduta da S.E. Mons. Francesco Minerva e concelebrata da S.E. Mons. Guglielmo Motolese, Arcivescovo di Taranto, del quale 14 anni dopo sarei diventato il successore, da S.E. Mons. Alberico Semeraro, Vescovo di Oria, del quale nel 1978 sono diventato diventavo il successore, e da altri Arcivescovi e Vescovi pugliesi.
Nei sette anni del mio servizio nella Chiesa Oritana, la celebrazione dell’Anno Santo, indetto da Paolo VI per il 1975 ma anticipato nelle diocesi nel 1974 a ricordo del Concilio, segnò in certo qual modo l’inizio e, per così dire, il rodaggio della mia esperienza episcopale: un’esperienza bellissima, perché, dato il numero limitato delle parrocchie, era per me più facile andare a piedi per le strade, entrare nelle case, visitare le famiglie, incontrarmi con gli studenti nelle scuole, coinvolgermi nei problemi e negli eventi lieti e tristi degli undici centri della Diocesi, e soprattutto avere rapporti continui con i sacerdoti.
La Visita Pastorale, che mi dette la gioia di essere per una settimana in ogni parrocchia accanto ai carissimi parroci, il pellegrinaggio a Pompei e a Roma per la beatificazione di Bartolo Longo, figlio della Chiesa oritana, il Congresso Mariano Diocesano, e la creazione dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose mi hanno fatto crescere come uomo, come sacerdote e come vescovo.
Il 28 giugno 1978 ebbi la grazia di celebrare il mio Venticinquesimo di sacerdozio con l’ordinazione presbiterale di due diaconi dell’Angola: uno di loro, Damao Antonio Franklin, ora è Arcivescovo di Luanda.
Il 6 agosto 1978, nella festa della Trasfigurazione del Signore, morì santamente il Papa Paolo VI e il 26 successivo fu eletto Papa il Cardinale Albino Luciani, Patriarca di Venezia, che prese il nome di Giovanni Paolo I. Mi conosceva da quando ero sacerdote e da vescovo mi onorava della sua amicizia. Ero presente all’inizio del suo ministero pontificio il 3 settembre: mai avrei potuto pensare che dopo trentatré giorni di pontificato il Signore lo avrebbe chiamato a sé. Il dolore della Chiesa fu alleviato dalla gioia della elezione, il 16 ottobre, del nuovo Pontefice nella persona del Card. Karol Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, che significativamente prese il nome di Giovanni Paolo II.
Arcivescovo Metropolita a Foggia e Vescovo di Bovino e di Troia
Stavo per terminare la Visita Pastorale quando il 4 aprile 1981 il Santo Padre Giovanni Paolo II, trasferendomi da Oria, mi nominava Arcivescovo Metropolita di Foggia e Vescovo di Bovino e di Troia, tre diocesi distinte ma unite nella persona dell’unico vescovo.
Per me si trattava di una nuova esperienza: triplicare e tripartire ogni iniziativa pastorale. Ma, grazie alla sensibilità dei sacerdoti che ricordo con tanto affetto, si riuscì a unificare diverse iniziative, e non fu senza sofferenza quando l’8 ottobre 1986, nella fusione delle diocesi pugliesi, Troia fu unita non a Foggia ma a Lucera. Mi toccò allora la sorte di essere l’ultimo Vescovo di Troia e di Bovino e il primo Arcivescovo di Foggia-Bovino.
L’esperienza pastorale foggiana, si aprì all’insegna dell’Anno Mariano, concluso col Pellegrinaggio a Roma di oltre diecimila fedeli per l’incoronazione della Madonna Iconavetere, protettrice di Foggia, da parte del Santo Padre, e il Congresso Mariano Diocesano.
L’evento ecclesiale, rimasto nel ricordo più vivo ed entusiasmante dei foggiani, è stata la Visita Pastorale del Papa, che volle raggiungere tutte le diocesi della Metropolia, con una significativa sosta a S. Giovanni Rotondo sulla tomba di Padre Pio.
Arcivescovo Metropolita a Taranto
Il Santo Padre Giovanni Paolo II, il 10 ottobre disponeva che io lasciassi la giovane Chiesa di Foggia per servire l’antica e storica Chiesa di Taranto. Ancora una volta, come Abramo, mi lasciai condurre dal Signore nell’obbedienza della fede e il 21 novembre raggiunsi la nuova sede, nella quale ebbi la grazia di organizzare due notevoli eventi storici: la Settimana Liturgica Nazionale (nell’ultima settimana di agosto) e la Visita del Santo Padre (nell’ultima settimana di ottobre).
Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana
Mi preparavo a indire la Visita Pastorale, quando lo stesso Santo Padre II, il 2 febbraio 1990, mi nominava Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana, per cui nel giugno successivo dovetti lasciare la Chiesa di Taranto.
Col nuovo ufficio di Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana dovevo offrire la mia assistenza pastorale non solo alla più grande associazione laicale d’Italia, ma anche alle sue articolazioni centrali, regionali, diocesane, parrocchiali.
Per sei anni ho dovuto girare tutta l’Italia per mettermi a servizio delle diverse diocesi, anche nella veste di Presidente della Commissione episcopale per il laicato della CEI. E’ stata un’esperienza preziosa, culturalmente e spiritualmente arricchente, avere contatti con i Vescovi, con i sacerdoti, con i laici di tutta Italia: un’esperienza rivelatasi ancora più utile e vantaggiosa quando nel 1991 si è costituito il Forum Internazionale dell’Azione Cattolica, del quale sono stato il primo Assistente Ecclesiastico.
A rendermi sempre più convinto della necessità di impostare ogni attività pastorale sul fondamento della spiritualità, sul primato della vita interiore, anima dell’apostolato, nel 1992 mi è stato dato modo di fare una nuova esperienza, come Presidente Nazionale della Federazione Italiana Esercizi Spirituali.Questa mi ha messo a contatto con i diversi centri di spiritualità del nostro Paese, veri cenacoli che offrono a tutti – clero, membri di vita consacrata, laici e famiglie – la possibilità di mettere in pratica l’invito rivolto da Gesù agli apostoli: “Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po’ ” (Mc 6,31). La formazione spirituale, d’altra parte, è il cuore di tutta la formazione permanente alla quale ogni cristiano è chiamato, per essere in grado di conformarsi sempre di più a Cristo e, conseguentemente, di rendersi più capace e disponibile a collaborare con Lui nella realizzazione storica della sua unica e universale missione di salvezza.
Arcivescovo Metropolita a Palermo
Ero intento in questo molteplice servizio itinerante per le diverse Diocesi d’Italia, quando il Santo Padre decideva di nominarmi Arcivescovo di Palermo. La notizia ufficiale fu data il 4 aprile 1996, Giovedì Santo. Non potrò dimenticare quanto avvenne alla fine della Messa Crismale che ebbi la grazia di concelebrare col Papa nella Basilica di S. Pietro. Con un gesto di squisita benevolenza, il Santo Padre volle chiamarmi nel reparto dov’era insieme con i Cardinali per benedire me e la Chiesa di Palermo, come garanzia dell’assistenza del Signore nella nuova e non facile missione che mi affidava.
La sera del 25 maggio, Vigilia della Pentecoste, con trepidazione ma fiducioso nell’aiuto dello Spirito Santo, baciando la terra di Palermo, davo inizio alla nuova missione pastorale. Accompagnato dai giovani, salutato dalle Autorità civili e militari davanti al Teatro “Massimo”, accolto nella Cattedrale gremita di fedeli da un popolo caloroso e generoso, ferito dalla mafia da me definita un cancro pestifero in un corpo sano, ricco di risorse spirituali e morali purtroppo ignorate o misconosciute.
Non era facile per un Vescovo non siciliano fare il Vescovo in Sicilia e per giunta a Palermo. Ma i siciliani contraccambiano con amore più grande chi li ama, per cui mi è stato facile, con l’aiuto del Signore e col calore del nostro Salento, entrare nel cuore dei sacerdoti e dei fedeli, ai quali sono stato vicino nella visita pastorale durata sette anni con particolare attenzione alle scuole, e avere rispettosi ma autonomi rapporti con le Istituzioni regionali, provinciali e comunali. La nomina a Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, la cittadinanza onoraria datami da diversi comuni a cominciare da quello di Palermo, come anche la Laurea honoris causa conferitami con voto unanime dalla Università Statale di Palermo, costituiscono l’attestazione di un affetto che non potrò mai dimenticare.
Da parte mia mi sono prodigato in un’azione pastorale intensa, stando a diretto contatto col popolo soprattutto durante la Visita Pastorale durata sette anni, e realizzando, con l’aiuto del popolo e delle istituzioni ecclesiali e civili, iniziative e opere anche in campo assistenziale e sociale a servizio degli ultimi.
Cardinale di Santa Romana Chiesa
Nel Concistoro del 21 febbraio 1998 Giovanni Paolo II mi creava Cardinale di Santa Romana Chiesa col titolo presbiterale di Santa Maria dell’Ara Coeli, la Basilica del Campidoglio. Fu grande l’esultanza dei Palermitani, che parteciparono numerosissimi in Piazza San Pietro, così come festosa fu l’accoglienza a Palermo, che ha ritenuto sempre un privilegio storico avere per Arcivescovo un Cardinale.
Se non posso dimenticare la festa dei palermitani, tanto meno posso dimenticare quella dei miei concittadini vernolesi, che guidati dal compianto Mons. Alessandro Dell’Era parteciparono numerosi al Concistoro e più numerosi mi accolsero qualche giorno dopo a Vernole, che entrava così nella storia della Chiesa cattolica come la città natale di uno membri del Collegio dei Cardinali, il Senato del Papa. Come non posso dimenticare la celebrazione in Piazza del mio 50° di Sacerdozio e 30° di Episcopato, organizzata dal Parroco Don Fernando Doria.
Ai giornalisti, che mi domandavano che cosa sarebbe cambiato con la nomina a Cardinale, risposi: “Scendere ancora di più in mezzo al popolo e servirlo con quello spirito di servizio e con quell’amore pastorale che il rosso della porpora significa in forza della fedeltà alla Chiesa sino al martirio”.
Indubbiamente col crescere dei servizi crescono anche le responsabilità nei confronti delle Chiese che a un Vescovo sono affidate e soprattutto della Chiesa universale della quale un Cardinale è particolarmente a servizio in quanto più stretto collaboratore del Romano Pontefice nei diversi Dicasteri della Santa Sede, come quelli del Culto Divino, dei Vescovi, del Clero, del Laicato e della Famiglia tra i cui membri dai due ultimi Pontefici sono stato annoverato.
Cittadino vaticano
Il 10 febbraio 2007, dopo circa 11 anni, per raggiunti limiti di età consegnavo il Pastorale dell’Arcidiocesi al mio successore, per trasferirmi a Roma, dove ogni Cardinale, che resta sempre Cardinale anche quando, dopo gli ottanta anni, non può partecipare al Conclave, è cittadino vaticano e può svolgere quindi meglio e più da vicino la collaborazione col Papa.
Personalmente da Roma mi è anche più agevole svolgere a livello nazionale gli uffici di Presidente della Federazione Italiana Esercizi Spirituali e di Consulente Ecclesiastico dell’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, che mi obbligano a muovermi in tutte le regioni d’Italia, dove mi onoro di portare non solo il nome di Palermo, come suo Arcivescovo emerito, ma anche e soprattutto quello della nostra amatissima Vernole, come suo cittadino originario e figlio affezionatissimo.
D’altronde ho sempre ritenuto un onore fatto non tanto a me, quanto a Vernole che mi ha dato i natali, la nomina a Cardinale: una nomina che nei secoli passati riguardava soprattutto le famiglie dei nobili e dei potenti, mentre oggi – ed è stata questa la vera e grande rivoluzione operata dalla Chiesa – raggiunge nella quasi totalità i figli del popolo, come me, che non hanno ricchezze materiali da donare ma solo valori della propria terra e della propria gente da trasmettere e testimoniare.
Carissimi concittadini, concludo dicendo col Salmista “Canterò senza fine le grazie del Signore” (Sal 89,1), “accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di Gioia” (Sal 95,2). E’ quanto faremo il 18 settembre a sera nella nostra Chiesa parrocchiale.
Dopo il ringraziamento doveroso alla Santissima Trinità, che mi ha tratto da Vernole, mi ha preso di mezzo a voi per donarmi ad altre Città e ad altri fratelli nel ministero episcopale, ringrazio anche voi, a cominciare dal carissimo don Elio, per la stima, l’amicizia, l’affetto e soprattutto per la preghiera, che io assicuro quotidianamente per voi.
Il Signore, per l’intercessione dei nostri Santi Protettori, Gioacchino e Anna, conceda a voi tutti la sua grazia, a noi sacerdoti la fedeltà al dono ricevuto, alla nostra comunità parrocchiale generose risposte vocazionali al sacerdozio e alla vita consacrata, alle autorità un servizio sempre più generoso al bene comune, alle famiglie la concordia, agli anziani la serenità, agli ammalati la salute, ai giovani l’amore alla vita, ai disoccupati una dignitosa occupazione, ai piccoli l’attenzione e il rispetto di tutti, in modo che il futuro di Vernole risplenda per la testimonianza della fede, della speranza e della carità e di, conseguenza, per un più alto profilo religioso, culturale, morale, economico e sociale.