da un’ intervista pubblicata sul giornale della festa patronale.

Dal 23 ottobre 2015, la nostra Parrocchia “Maria SS. Assunta” di Vernole è guidata da don Leonardo Giannone.
Nato il 9 ottobre 1963 a Merine, ma figlio adottivo della nostra comunità, don Leonardo è stato ordinato sacerdote nella chiesa parrocchiale di Vernole il 25 giugno del 1988 per la preghiera e l’imposizione delle mani del compianto Mons. Michele Mincuzzi. Sempre a Vernole è stato vicario parrocchiale dal 1998 al 2000, al fianco del parroco di allora don Sandro Dell’Era. Insegnante di teologia morale presso l’Istituto Superiore di Scienze religiose di Lecce fin dal 1990, don Leonardo è diventato parroco il 1 ottobre 2000, quando ha cominciato a guidare le comunità di Strudà e Vanze e successivamente anche di Pisignano. Il 7 novembre del 2004 si è insediato nella parrocchia di Melendugno, che ha guidato fino al 18 ottobre 2015, per 11 anni.
Al termine del secondo anno pastorale vissuto in mezzo a noi, la Redazione de La Lurdica ha preparato una semplice intervista per don Leonardo che ha accolto ben volentieri la nostra iniziativa.

Caro Don Leonardo. Può farci un bilancio di questi quasi due anni di parrocato nella sua Vernole?

1. Come ho già detto altre volte, Vernole è una delle radici della mia vocazione. Una è certamente la mia famiglia; l’altra è la comunità di Maglie dove ho frequentato quattro anni di Scuola elementare e dove ho conosciuto il giovane cappellano che celebrava la messa nel collegio che mi ospitava; e l’altra è la comunità di Vernole, che mi ha accolto quando avevo appena cinque anni, i suoi ambienti, i suoi volti: la ‘curte’ della nonna Nina, la Scuola Media, la chiesa parrocchiale, i campetti di calcio strappati ai fondi agricoli della periferia. E poi don Sandro, don Nicola De Giorgi, la compianta ‘nunna’ Lina De Giorgi, la signorina Maria, catechista, il cardinale De Giorgi, i bravissimi sacerdoti vernolesi…
Quando, il 25 giugno 2015, anniversario della mia ordinazione sacerdotale, il vescovo mi ha chiamato per comunicarmi la sua intenzione di nomimarmi parroco di Vernole, ho trovato la forza di rispondergli subito: “siamo qui per collaborare”. E in realtà essere parroco vuol dire collaborare con il successore degli Apostoli nell’annuncio e nell’avvento del Regno di Dio nella porzione di umanità, a cui il presbitero è inviato.
Sono arrivato a Vernole carico dell’esperienza maturata in tanti anni di ministero, credo sufficientemente pronto per aiutare la comunità a crescere, per ‘restituire’ a Vernole un poco di quello che da lei ho ricevuto.
Sono abituato a procedere con metodo: programmare, attuare, verificare. Nel bilancio di questi primi venti mesi a Vernole c’è sicuramente tutto l’amore e l’inelligenza di cui sono capace.

 

Quali analogie ha riscontrato tra la Parrocchia di Melendugno e quella di Vernole? Quali sono i progetti futuri per la Parrocchia di Vernole?

2. Il 25 giugno scorso, ventinovesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, commentando il Vangelo del giorno, ho messo in evidenza le caratteristiche del discepolo missionario: egli è un dono che Gesù riceve dal Padre e dà a sua volta al mondo, dopo averlo rivestito della sua autorità; dipende completamente da Colui che lo invia; nella sua testimonianza Gesù stesso continua ad avvicinarsi agli uomini di ogni tempo. Questo è il quadro entro cui mi oriento. Le analogie tra le comunità hanno la loro importanza ma non sono decisive.
Quando sono diventato parroco di Strudà, Vanze e Pisignano, portavo con me l’esperienza maturata come vicario di Melendugno e Vernole. Quando sono andato a Melendugno, ero motivato dall’esperienza breve ma intensa dei miei primi anni di parroco. Ora che mi trovo a Vernole, sono carico della lunga e ricca esperienza fatta nella comunità melendugnese. All’inizio prevalgono i presupposti con cui uno si affaccia alla nuova comunità. Poi pian piano emerge una progettualità completamente nuova, che nasce dal suo incontro con la nuova realtà.
Considero mio compito irrinunciabile formare i formatori, cioè: preparare catechisti e animatori capaci di annunciare il Vangelo di Dio agli uomini di questo territorio e di questo tempo. I parroci cambiano. I fedeli restano. E possono garantire quella continuità di cui una comunità ha bisogno per crescere in modo sereno e concreto.

 

Come valuta i suoi rapporti con gli abitanti e, soprattutto, con i giovani di Vernole? E’ riuscito a far comprendere ai vernolesi la sua idea e il suo concetto di Chiesa?

3. Sono nato a Merine negli anni del Concilio. Crescendo a Vernole, ho apprezzato lo sforzo di don Sandro di aiutare la comunità vernolese ad assimilare la dottrina dei grandi documenti conciliari. La sua omiletica era essenziale, incentrata sulle Scritture, attenta alla realtà. Il suo stile liturgico, sobrio e semplice, mirava a coinvolgere i fedeli in una partecipazione consapevole e attiva. La sua attenzione verso le varie forme di povertà era vigile e si esprimeva nella massima discrezione.
Don Fernando e don Elio, in continuità con l’opera di don Sandro, hanno cercato, secondo i doni e lo stile loro proprio, di confermare l’ecclesiologia di comunione proposta dalla Lumen Gentium e dalla Gaudium et Spes, per cui la Chiesa non è vista più come una società gerarchica ma come il frutto di una comunione fraterna in cui ciascuno condivide i doni e i ministeri ricevuti dallo Spirito. Personalmente mi pongo su questo solco tracciato dai miei predecessori, i nostri piena comunione con la chiesa locale e universale.
La pagina che ispira il mio rapporto con i fedeli è quella in cui Gesù si presenta come il buon pastore. Egli conosce una per una le sue pecore e le guida, come gregge, camminando innanzi a loro. Papa Francesco ha esplicitato in modo mirabile il senso di questo rapporto dicendo che il vero pastore vive con le sue pecore e arriva a prenderne l’odore.
Ho sempre avuto e mantengo tuttora una speciale attenzione verso i bambini, i ragazzi e i giovani. Essi sono la “terra di missione” che attende il primo annuncio del Vangelo. È bello condividere la santa ambizione dell’apostolo Paolo di essere il primo a portarvi il lieto annuncio della vita di Cristo.

 

Oggi, 26 luglio, si celebrano, come tradizione, le festività religiose e civili in onore dei nostri santi patroni Anna e Gioacchino. Quali emozioni e quali ricordi suscita in lei questo giorno, sia da parroco di questa comunità che da vernolese?

4. Nei miei ricordi la festa “te S. Anna cranne” richiamava a Vernole i parenti emigrati all’estero o in altre parti d’Italia, e concentrava le attese di tutto l’anno intorno al ricongiungimento affettivo tra genitori e figli, zii e nipoti…
Il 25 e il 26 luglio erano i giorni delle interminabili code di auto parcheggiate lungo le vie d’ingresso, delle giostre, delle lunghe passeggiate in via Tripoli tra miriadi di bancarelle traboccanti di attrazioni che catturavano l’attenzione di noi ragazzi.
Crescendo ho capito sempre meglio il senso della festa patronale e approfondito la conoscenza delle figure dei genitori della Beata Vergine Maria, attraverso l’attenta lettura del Vangelo apocrifo attribuito all’apostolo Giacomo.
A tal proposito ricordo che una delle mie prime proposte da vicario parrocchiale di Vernole fu quella rivolta a Manlio Stefanelli di scrivere una sceneggiatura tratta dal protovangelo di Giacomo, per rappresentarla in occasione della festa patronale. Fu dal gruppo teatrale che si aggregò attorno a quella coraggiosa rappresentazione che si crearono i presupposti per la rinascita del Centro turistico giovanile di cui, dopo 19 anni, sono assistente spirituale….