Gv 10, 11ss
Dopo la guarigione del cieco nato, Gesù si presenta ai discepoli e ai farisei come la Porta e come il Buon Pastore.
Gesù è anzitutto la Porta: quella che i pastori devono attraversare per avvicinarsi alle pecore in modo onesto e quella che conduce alla salvezza.
Gesù è anche il Buon pastore, cioè il pastore che realizza in pieno la sua missione di guida del popolo di Dio.
A differenza del mercenario che, al momento del pericolo, abbandona le pecore e si mette in salvo, Gesù è disposto a difendere le sue pecore anche a rischio della propria vita.
Gesù è il Buon pastore anche perché conosce le sue pecore.
Il verbo conoscere non indica solo un’attività della mente, ma una relazione personale di cui Gesù stesso spiega la natura: Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me come il Padre conosce me e io conosco il Padre.
Gesù ama le sue pecore in modo intimo o e personale, come Egli stesso è amato dal Padre.
L’amore di Gesù per le pecore non si pone limiti: E ho altre pecore che non sono di questo ovile.
Mentre difende, consoce e ama le sue pecore, Gesù non perde di vista tutti coloro che, fuori del piccolo recinto e nel futuro, potranno ascoltare la sua voce, conoscerlo, entrare a far parte del suo gregge.
Questo impegna i discepoli di ogni epoca all’apertura e alla missione universale.
Alla fine Gesù rivela il segreto della sua bontà.
Gesù dispone pienamente della sua vita: può offrirla liberamente nella morte e riprenderla di nuovo nella risurrezione.
Questo Egli è disposto a fare in obbedienza al Padre suo che lo ama e gli comanda di offrire la sua vita per gli uomini: il comando del Padre implica la morte obbediente del Figlio e porta la vita agli uomini.
Per questo, quando Gesù offre la sua vita per riprenderla di nuovo, il suo non è un motivo egoistico: è il Padre che ha voluto che la morte di Gesù portasse alla risurrezione e al ritorno a Lui.
Lo stesso comando che ha portato il Figlio a offrire la vita per gli uomini, incoraggia i discepoli la a offrire la propria vita l’uno per l’altro.
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