Lc 18, 1ss

  

Nella parabola del giudice iniquo e della vedova importuna, Gesù mette in scena un caso tipico: una vedova, simbolo della gente povera e indifesa, forte solo della sua insistenza, si confronta con un giudice corrotto che non dà conto del suo comportamento né a Dio né agli uomini.

 

Per un certo tempo il giudice non ascolta la vedova. Ma poi decide di aiutarla perché, stanco delle sue lamentele, vuole essere lasciato in pace: Poiché questa vedova è così molesta, le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi.

 

Dopo aver raccontato la storia, Gesù richiama l’attenzione dei discepoli sulle parole del giudice e pone una domanda retorica: E Dio non farà giustizia ai suoi eletti, anche se li fa aspettare?.

Se un giudice corrotto può essere smosso dalle lamentele di una vedova, tanto più Dio, che è Padre, andrà incontro alla preghiera dei suoi figli.

Gesù stesso risponde alla domanda: Vi dico che farà loro giustizia prontamente.

 

L’applicazione che Gesù fa della parabola rispecchia evidentemente la situazione in cui si trova la comunità a cui Luca scrive il suo Vangelo: è una comunità perseguitata che implora l’intervento di Dio e soffre il ritardo del ritorno di Cristo.

La risposta di Gesù suona come una solenne rassicurazione: l’intervento di Dio non solo è sicuro, ma accadrà entro poco tempo.

 

Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?.

La domanda conclusiva non è una riflessione pessimistica sul futuro della chiesa, ma un’esortazione alla perseveranza: quali che siano i tempi di Dio, la comunità cristiana deve prendere esempio dalla vedova importuna che si è lamentata fino al suo pieno esaudimento.

È la preghiera costante che mantiene il credente nella fede, intesa come fedeltà nella persecuzione e nella prova.

 

Il vero problema allora non è quando Dio interverrà, ma che gli uomini siano pronti alla prova finale.

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