IV Domenica di Avvento C

Lc 1, 39ss

 

 Colei che ha concepito dallo Spirito santo il Verbo incarnato è l’arca che reca la presenza del Signore ovunque vada.

Non meraviglia quindi che l’evangelista Luca ricostruisca il dialogo tra Maria ed Elisabetta alla luce di un brano del secondo libro di Samuele, che racconta il trasporto dell’antica arca dell’alleanza a Gerusalemme.

 I richiami sono evidenti.

Davide si chiede se sia degno di accogliere l’arca dell’alleanza nella sua casa (2 Sam 6, 9); Elisabetta chiede a Maria: A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?.

Davide danza con tutte le sue forze davanti all’arca del Signore ( 2 Sam 6, 14); il piccolo Giovanni sussulta di gioia nel grembo della madre.

L’arca dell’alleanza rimane tre mesi nella casa di Obed-Edom, durante i quali il Signore benedice lui e la sua famiglia (2 Sam 6, 11); Maria rimane con Elisabetta circa tre mesi, fino al parto, prima di tornare a casa.

 Ricevuto il segno del’onnipotenza di Dio, Maria non si accontenta di aver accolto la Parola del Signore: corre là dove il progetto di Dio si sta realizzando, per riconoscere, adorare, servire.

Nel momento in cui condivide con Elisabetta il saluto dell’angelo, lo Spirito santo che l’aveva adombrata, dandole di concepire il Verbo incarnato, trova il modo di comunicarle quanto è avvenuto in lei.

 Nello Spirito il piccolo Giovanni sussulta di gioia nel grembo di sua madre. Ispirata dallo Spirito, Elisabetta riconosce ciò che Maria è nel profondo del suo essere, Madre del mio Signore, e la chiama beata per aver creduto nell’adempimento della Parola del Signore.

 Facendo risuonare la testimonianza dello Spirito, Elisabetta dà alla fede di Maria di fiorire nella gioia e Maria, che all’invito dell’angelo aveva reagito con turbamento e riflessione, ora scopre, nella condivisione della fede, la gioia a ci è chiamata.

Nel Magnificat ringrazia il Signore per ciò che ha compiuto in lei e per l’opera di salvezza che comincia a realizzare in mezzo agli uomini.

La lode personale precede quella universale, perché Dio riversa la sua misericordia verso tutti, colmando di gioia in modo unico la donna da cui deve traboccare sull’umanità.

Ciò che dall’angelo era stato annunciato al futuro viene cantato da Maria come un avvenimento già realizzato, perché il concepimento di Gesù sovverte definitivamente i valori di questo mondo e pone le basi per una storia nuova.

 A partire dal duplice racconto dell’Annunciazione e della Visitazione, comincia a rivelarsi l’identità di Colui che è stato concepito nel grembo della Vergine.

Si intuisce nelle parole rivolte a Maria dall’angelo Gabriele: Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo. E nelle parole ispirate a Elisabetta dallo Spirito santo: Il frutto del tuo grembo è il mio Signore.

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